Olio Made in Italy

Olio Made in Italy

La salvaguardia delle produzioni tipiche locali e il riconoscimento della professionalità italiana nel “blending” sono complementari nella costruzione di un dialogo chiaro tra il settore agricolo, l’industria e il consumatore finale.

Dopo la raccolta – che solitamente avviene nei mesi di ottobre e novembre – con l’inizio del nuovo anno si fa il punto sulla produzione delle olive, sui livelli e la qualità dell’olio prodotto e sui trend di mercato. L’Italia è il secondo paese al mondo per la produzione di olio extra vergine di oliva dopo la Spagna, ma è il primo paese per il consumo. L’olio di oliva, in particolare quello extra vergine, è protagonista indiscusso della nostra cucina e uno dei principali componenti della Dieta Mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
Oggi l’ulivo viene coltivato in quasi tutte le regioni d’Italia, dove si contano oltre 500 cultivar (termine utilizzato per designare le diverse varietà delle piante di olivo coltivate). In Liguria le cultivar più comuni sono taggiasca, razzola, lavagnina, colombaia e pignola. La produzione certificata DOP è seguita dal Consorzio per la tutela dell’olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure, in questi ultimi mesi impegnato nelle attività e nel dibattito a favore del riconoscimento della Taggiasca DOP come opportunità di salvaguardia delle nostre produzioni locali.
I territori spesso esprimono un legame forte con le produzioni locali: basti pensare alla Taggiasca, simbolo per noi liguri della nostra stessa identità. È una cultivar autoctona ed è proprio per evitare che diventi la “varietà di tutti” (è possibile infatti piantarla ovunque – come già accade da tempo in Italia e all’estero – con costi produttivi molto concorrenziali rispetto a un territorio complesso come quello ligure), che si è formato in questi mesi il comitato per la promozione della DOP Taggiasca.
Non solo in Liguria, ma in tutta Italia, nei secoli, si è affermata intorno alla produzione dell’olio una grande tradizione e professionalità, sia in termini di qualità e cura dei terreni e della produzione che rispetto all’intero processo produttivo (dalla selezione dell’olio al blending, alla commercializzazione). Ogni territorio ha le sue specificità di qualità e di gusto e spesso si è assistito ad un faticoso dibattito sul rischio frodi (l’Italia in realtà è il paese in cui vengono fatti il maggior numero di controlli ogni anno lungo tutta la filiera produttiva) e sull’opportunità di proteggere la materia prima nazionale.

Oltre al tema della tipicità e del legame con il territorio, c’è poi quello della qualità. La qualità dell’olio – così come per tutte le produzioni agricole – deriva da una molteplicità di fattori. Le olive sono un prodotto della natura, il terreno e il clima hanno un’influenza fondamentale sulla crescita degli alberi e dei frutti. Le condizioni climatiche durante i mesi della produzione hanno un impatto determinante sulla quantità e qualità del prodotto e di conseguenza sulle capacità produttive dell’olio e in particolare dell’olio extravergine.
Se da un lato non esiste una campagna olearia uguale alla precedente, dall’altra si registra da parte dei consumatori una richiesta costante del prodotto. In Italia, il fabbisogno annuo di olio di oliva si attesta infatti intorno a un milione di tonnellate, circa 600/700mila le utilizziamo per il nostro consumo interno e altre 300/400mila vengono esportate. Quest’anno la nostra produzione si è confermata intorno alle 200mila tonnellate; la campagna 2016-17 in Italia come in altri paesi produttori, ha registrato un calo significativo, in alcune regioni anche oltre il 30% rispetto all’anno passato. Questa campagna ormai in chiusura ha subito più di ogni altra le conseguenze di un cambiamento climatico ormai conclamato. Le conseguenze sono state più gravi di quanto si preannunciassero a inizio campagna, specialmente in Italia.
Per poter affrontare questa difficile annata, David Granieri, presidente di Unaprol, il principale consorzio italiano di olivicoltori, sulle pagine del Sole 24ore, ha recentemente dichiarato che realizzare extra vergini con almeno un 30% di olio italiano garantirebbe una nuova segmentazione dell’offerta a vantaggio del made in Italy. Non si tratterebbe di dare patente di italianità a blend di oli extra vergine che non contengano oli di vera origine Italiana piuttosto di fare aumentare la quota di olio italiano nei blend già presenti sui mercati. Questo passaggio sarà un modo per nobilitare la presenza del made in Italy nel mondo e sui mercati con alto potere di acquisto, remunerare le nostre imprese, ma soprattutto limitare le contraffazioni dell’origine di prodotto. Il tutto avverrebbe nell’ambito di un accordo interprofessionale volto ad impegnare chi vende e chi compra a monitorare il mercato.
Una simile apertura da parte del mondo della produzione nei confronti dell’industria olearia è un passo importante verso una maggiore trasparenza dell’intera filiera produttiva e nella costruzione di un dialogo chiaro tra il settore agricolo, l’industria e il consumatore finale.

Come avviene per il vino, il whiskey, il caffè e anche per il cioccolato, si parla di blend quando si accostano due o più prodotti con caratteristiche diverse con l’obiettivo di realizzarne uno capace di esaltare e valorizzare i pregi di ogni componente. Tra gli addetti ai lavori, è risaputo che il blending è una virtù distintiva per il comparto oleario nostrano e l’Italia vanta storicamente i migliori professionisti del settore.
Dal punto di vista storico, nel nostro paese si sono fatte miscele da quando si è cominciato ad usare l’olio per scopi alimentari: a fronte di produzioni locali da sempre insufficienti, il settore ha imparato a comporre produzioni che arrivavano da luoghi diversi facendo in modo di realizzare oli che meglio incontrassero il gusto dei clienti nei diversi mercati nazionali ed internazionali.
È un argomento affascinante, di cui si parla sottovoce perché troppo spesso collegato a processi poco limpidi eseguiti per camuffare oli di bassa categoria. In realtà, il blending è un’arte, che richiede un importante lavoro di progettualità e creatività accompagnato da una profonda conoscenza dell’olio.
Salvaguardare la qualità delle produzioni tipiche locali insieme alla capacità italiana di fare blending è una delle sfide del settore oleario di oggi.

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista “Genova Impresa” di Confindustria Genova a marzo 2017.

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