Il Cibo del Futuro

Il Cibo del Futuro

Salvare la tradizione innovando. Dalla produzione alimentare, alla distribuzione, al consumo di cibo, negli ultimi anni tutto è profondamente cambiato sconvolgendo abitudini, comportamenti e routine imprenditoriali. Salvare la tradizione innovando sembra un paradosso ma non lo è.

La grande distribuzione alimentare ad esempio, che sta investendo per migliorare le relazioni con il cliente attraverso nuovi servizi e l’utilizzo dei social, sembra semplicemente impegnata in una questione di comunicazione e di stile, ma non è così, in ballo c’è molto di più. Con l’avvento di Amazon e l’aumento della competitività, costruire relazioni benefiche con il consumatore è diventato vitale. La stessa difesa in cucina del cibo della nostra identità culturale, nelle strutture della ristorazione e dell’accoglienza, non è da tempo una questione di gusto quanto piuttosto una questione economica perché significa qualità della vita, stimolo per una creatività vincente, opportunità oppure fallimento.

In sintesi questo è il messaggio che emerge dal convegno “Il cibo del futuro” che si è tenuto al Palazzo della Borsa di Genova il 3 ottobre, in occasione del “2018 Anno del Cibo Italiano”, che ha coinvolto la Camera di Commercio con il supporto di Confindustria e delle altre associazioni di categoria. Tre tavole rotonde di esperti e testimoni sono entrate nel merito delle nuove tendenze e esperienze di consumo, dell’uso di tecnologie e canali di vendita innovativi e di strumenti di comunicazione come i social network che irrompono a ritmi sempre più serrati in un settore vitale della nostra economia, l’agroalimentare.

Nella prima tavola, moderata da Eugenio Puddu, (Deloitte e progetto Why Liguria), si è parlato di Presente e futuro della Grande Distribuzione: come cambiano gli scenari alla luce delle nuove prospettive di comunicazione” e sono intervenuti Lucia Bruzzone (Sogegross), Mario Gasbarrino (Unes), Luciano Villani (Coop Italia) , Michele Rinaldi (Soluzione Group). I supermercati, nati esattamente nel 1916, sono rimasti sostanzialmente uguali fino a pochi anni fa quando, a causa di cambiamenti sempre più rapidi, imprevedibili e globali, sono stati costretti ad effettuare una rivoluzione epocale. Sono aumentati i consumatori ma soprattutto sono cambiate le abitudini alimentari: il cibo più che un bisogno fisico è un desiderio e la rapidità del servizio, assicurata da Internet e da una rete logistica capillare, batte la distanza. Ne consegue, da un lato la necessità di aumentare l’efficienza e l’innovazione nella distribuzione, e dall’altro di dare maggiore attenzione alla qualità più che alla quantità e alle storie che accompagnano i prodotti e la loro origine. Le catene hanno sempre più la necessità di dialogare con “persone” piuttosto che con “clienti”. La loro identità e credibilità sono di vitale importanza. Qualcuno ha sostenuto che il vero prodotto da vendere è il negozio stesso, quello che contiene va da sé. I nuovi strumenti di comunicazione sono essenziali per dimostrare che siamo degni di fiducia, che siamo trasparenti, che abbiamo passione.

La seconda tavola rotonda, moderata dalla giornalista Rosanna Piturru, ha coinvolto imprenditori che, nelle proprie profonde radici, più che la nostalgia trovano stimoli di futuro. Al dibattito “Food e new media: comunicare l’innovazione. Imprese storiche che hanno innovato la tradizione”, hanno partecipato Diego Bosoni (Cantine Lunae S.r.l.), Stefano Bruzzone (Il pesto di Prà S.r.l.), Mattia Noberasco (Noberasco S.p.A.), Savino Muraglia (Frantoio oleario Muraglia Savino). “Non esiste innovazione se non c’è conoscenza delle nostre radici”, “Il dialogo con il consumatore fa parte della nostra tradizione ed è il segreto della nostra capacità innovativa”, “L’equilibrio tra innovazione e tradizione è un mix di grande importanza nella comunicazione”: sono alcuni contributi che mi sono rimasti impressi. Nelle diverse storie di tradizione famigliare che rende grandi le PMI liguri dell’agroalimentare, alcune parole ricorrenti hanno fatto emergere un comune sentire che ne spiega il successo e il senso della direzione. Credibilità, verità, contatto, rispetto, identità, valori, tecnologia, adattamento, novità, professionalità, rappresentano l’humus culturale e manageriale che, sedimentato nel passato, consente all’imprese alimentari di affrontare il futuro. L’introduzione dei social rende possibile alle imprese costruire più facilmente la propria identità online, migliorare l’ascolto dei clienti e soprattutto essere sempre accessibili e interagire. Una opportunità straordinaria.

“Il cibo come tradizione, identità, valore culturale ed economico” è stato il tema della terza tavola rotonda coordinata da Luigi Caricato, giornalista e editore di Olio Officina. Hanno partecipato Maurizio Sentieri (Docente e Saggista), Carlo Radicci (Casa Radicci S.p.A.) e i due chef stellati Mauro Ricciardi (Ristorante Locanda dell’Angelo) e Ivano Ricchebono (Ristorante The Cook). “Le abitudini di consumazione alimentare delle persone sono profondamente mutate ma ciò non significa che i valori e la cultura del cibo, da sempre fattori determinanti della nostra identità nazionale, siano anch’essi superati”. Da questa considerazione è iniziata una riflessione sul cambiamento delle abitudini alimentari da un lato e sulla necessità di gestire la crescente complessità dei consumatori dall’altro. Si tende a mangiare meno e più sano, si bada sempre più alla qualità, si chiede varietà nei prodotti e nel loro utilizzo, si devono fronteggiare le intolleranze, nascono idiosincrasie causate da mode mediatiche sul benessere, si indaga per conoscere meglio il cibo e la sua provenienza. A fronte di tutto questo la risposta migliore viene dalla capacità di servire prodotti genuini e il legame con il territorio diventa fattore di legittimazione e di successo per le imprese di servizio e di ristorazione. Questo tuttavia non significa non percorrere la strada dell’innovazione in cucina perché il cliente oggi è sempre più esigente e disponibile, se non addirittura ansioso, di vivere nuove esperienze sensoriali. Chef preparati e scuole alberghiere adeguate (in questo la Liguria sta guadagnando punti) e imprese produttrici che utilizzano materie prime di eccellenza del territorio o provenienti da diverse regioni per ottenere l’ottimale rapporto qualità/prezzo rappresentano la soluzione. Nella comunicazione occorre tenere alti i valori della cucina italiana e saper raccontare e considerare che il cliente può visitare le nostre pagine da qualsiasi parte del mondo e paragonarle con altri. Quello che dobbiamo trasmettere è il vero compito di un cuoco nella nostra cultura: fare stare bene le persone. Tutta la cucina ligure va nella stessa direzione.

Il convegno ha chiuso i suoi lavori, anche simbolicamente, con una gara di Pesto Genovese al Mortaio fra gli studenti dell’Istituto Nino Bergese, guidata da Roberto Panizza presidente dell’Associazione Culturale Palatifini, valida per il Campionato Mondiale 2020. Il convegno ha fatto anche emergere che  l’impatto economico e sociale di prodotti e servizi delle aziende liguri dell’agroalimentare è sempre più importante, è megafono delle eccellenze locali e una delle principali fonti di richiamo turistico. Ai tanti partecipanti, in particolare giovani e imprenditori del settore, l’Associazione Genova Gourmet ha infine offerto il light lunch curato dallo chef lvano Ricchebono.

Questo articolo è uscito su Genova Impresa, la rivista di Confindustria Genova, numero di settembre/ottobre.

 

 

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