Ristorazione che fare

Ristorazione che fare

“Non stiamo assistendo ad un’era di cambiamento ma ad un cambiamento di era”: Giovanni Ballarini, economista dell’Accademia dei Georgofili, parla di una “bolla gastronomica” cresciuta a dismisura che sta per scoppiare. In Italia prima del Corona virus si contavano oltre 400.000 attività di ristorazione grandi e piccole che si dividevano 86 Miliardi di Euro (valore stimato dei pranzi e delle cene degli italiani fuori casa) e si tratta solo di una parte del giro d’affari generato dalla ristorazione perché occorrerebbe aggiungere tutti gli altri apporti della filiera dell’alimentazione, dalla produzione agricola fino ai libri di cucina e alle trasmissioni TV.

Già prima della pandemia si vedevano segnali inequivocabili che il settore stesse toccando degli eccessi. In Italia nel 2018 ristoranti e trattorie hanno avuto un saldo negativo di oltre 12.000 esercizi con un altissimo turnover (“dopo un anno chiudeva un quarto dei nuovi ristoranti e quelli che non superavano i cinque anni erano il 57%”). Oggi si sentono cifre da apocalisse. Se prima di Covid-19 il vantaggio competitivo della ristorazione stava nel rapporto qualità prezzo, in tempi di Corona virus si deve aggiungere la capacità di reinventare il mestiere minato dalla distanza sociale e dalla caduta del potere d’acquisto delle famiglie, e dalla crisi del turismo da cui dipendono decine di migliaia di esercizi. La ristorazione, a parte rare attività con una solida immagine legata perlopiù alla presenza di chef importanti, si concentrerà sulla necessità di fornire pasti alle persone che lavorano fuori sede o lontano da casa e sul bisogno di qualità nella degustazione del cibo che è sempre stata una delle principali molle (insieme alla socialità) per andare al ristorante. Su quest’ultima opportunità hanno lavorato alcuni ristoratori, al momento favoriti dall’isolamento della popolazione nelle abitazioni, che rappresentano case history interessanti, segnali deboli di una trasformazione forse irreversibile, che certo non è alternativa alla ristorazione tradizionale, ma che sta facendo crescere nuove nicchie imprenditoriali.

Il cibo take away e il food delivery, da sistemi per arrotondare le entrate del ristorante con camerieri trasformati in rider, rappresentano per chi riuscirà ad adeguarsi, ad associarsi, a usare al meglio le tecnologie e la comunicazione social, una possibilità di sopravvivenza e un affare potenzialmente interessante. Innovazione e genialità e non solo capacità esecutiva in cucina saranno sempre più il sale del business. 14 ristoratori che gestiscono una ventina di esercizi nel milanese, in accordo con Just Eat, app leader per ordinare pranzo e cena a domicilio, hanno lanciato ad aprile, in piena pandemia, il servizio “The Family” che consiste nella consegna a casa di piatti semi-pronti e semilavorati che “provetti chef domestici” completano (senza stare ore ai fornelli!) per mangiare bene e per la soddisfazione di stupire amici e famigliari.

Quello che spingerà di nuovo le persone verso la ristorazione tradizionale che riuscirà a scampare al Covid-19, sarà il bisogno di socialità, oltre al buon gusto la qualità o la necessità. “Alla ripresa la gente magari uscirà meno, ma vorrà il meglio e godersi ancora di più piatti e contesto, ha affermato lo chef Fabrizio Albini in una intervista circolata sui social, per questo dovremo trovare nuovi modi di stupire e coccolare i nostri clienti”.

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